Ecco il Piano femminista contro la violenza

Dopo un anno di assemblee in 70 città, dopo 5 incontri nazionali e lo sciopero globale delle donne lo scorso 8 marzo, la rete Non Una di Meno presenta il Piano femminista contro la violenza maschile e di genere, un documento di analisi e proposte che porterà in piazza il 25 novembre, a Roma, in occasione della manifestazione nazionale per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Il Piano si basa sul presupposto che la violenza maschile contro le donne è sistemica, attraversa cioè tutti gli ambiti delle nostre vite e si fonda su comportamenti radicati. È implicita nella costruzione e considerazione sociale del maschile e del femminile, per questo parliamo di violenza di genere. Non può essere superata nell’ottica dell’emergenza, né se viene considerata una questione geograficamente o culturalmente determinata.

Il Piano è un documento di proposta e di azione, frutto della scrittura collettiva di migliaia di donne e soggettività alleate, che parte dalla messa in comune di esperienze e conoscenza, parte cioè dalla resistenza individuale e collettiva alle molteplici forme della violenza maschile e di genere. Si basa su una metodologia intersezionale, che intende cioè analizzare le forme di oppressione che si innestano sulle differenze sociali, di origine, di classe, di identità di genere e sessuale, abilità e età.

Per scrivere il Piano, 9 Tavoli hanno lavorato sia a livello locale che nazionale. Per contrastare la violenza maschile e di genere nella sua complessità, Non Una di Meno promuove azioni che si differenziano in modo sostanziale da quelle elaborate finora dal Governo.

Ecco una sintesi del Piano. Il testo completo è disponibile qui (formato pdf).

# LIBERE DI EDUCARCI. Il femminismo si fa (a) scuola 

Scuola e università sono luoghi primari di contrasto alle violenze di genere. Per questo chiediamo:

  • formazione in materia di prevenzione della violenza di genere, mediazione dei conflitti ed educazione alle differenze per insegnanti, educatori ed educatrici;
  • revisione dei manuali e del materiale didattico adottati nelle scuole di ogni ordine e grado e nei corsi universitari, perché la scuola non contribuisca più a diffondere una visione stereotipata e sessista dei generi e dei rapporti di potere tra essi;
  • abolizione della Legge 107/15 e della riforma Gelmini e apertura di un processo dal basso di scrittura delle riforme di scuola e università, che preveda anche la rimodulazione dei contenuti e dei programmi;
  • finanziamenti pubblici e strutturali per i settori settore dell’educazione, della formazione e della ricerca, dal nido all’università.

# LIBERE DI (AUTO)FORMARCI E DI FORMARE. Costruire e condividere saperi contro la cultura della violenza.

Per prevenire la violenza di genere è fondamentale un tipo di formazione permanente e multidisciplinare, che consenta di monitorare il fenomeno in tutte le sue sfaccettature e sui vari livelli di intervento per il sostegno alle donne. Per questo vogliamo:

  • Formazione delle operatrici curata dei Centri Antiviolenza (CAV), che hanno una mission specifica basata sul diritto di scelta, consenso e autodeterminazione delle donne;
  • Formazione delle figure professionali coinvolte nel percorso di fuoriuscita dalla violenza delle donne, come insegnanti, avvocati e avvocate, magistrati e magistrate, educatori ed educatrici ecc.);
  • Formazione a chi lavori nei media e nelle industrie culturali, per combattere narrazioni tossiche e promuovere una cultura nuova;
  • Formazione nel mondo del lavoro contro molestie, violenza e discriminazione di genere, con l’obiettivo di fornire strumenti di difesa e autodifesa adeguati ed efficaci.

# LIBERE DI DECIDERE SUI NOSTRI CORPI. Consideriamo la salute come benessere psichico, fisico, sessuale e sociale e come espressione della libertà di autodeterminazione.

  • L’obiezione di coscienza nel servizio sanitario nazionale lede il diritto all’autodeterminazione delle donne, vogliamo il pieno accesso a tutte le tecniche abortive per tutte le donne che ne fanno richiesta;
  • Chiediamo la garanzia della libertà di scelta delle donne attraverso la promozione della cultura della fisiologia della gravidanza, del parto, del puerperio e dell’allattamento e che la violenza ostetrica venga riconosciuta come una delle forme di violenza contro le donne che riguarda la salute riproduttiva e sessuale.
  • Siamo contrarie alle logiche securitarie nei presidi sanitari: riteniamo inadeguati e dannosi interventi di stampo esclusivamente assistenziale, emergenziale e repressivo, che non tengono conto dell’analisi femminista della violenza come fenomeno strutturale e vogliamo équipe con operatrici esperte
  • Vogliamo consultori che siano spazi laici. Politici, culturali e sociali oltre che socio-sanitari. Ne promuoviamo il potenziamento e la riqualificazione attraverso l’assunzione di personale stabile e multidisciplinare. Incoraggiamo l’apertura di nuove e sempre più numerose consultorie femministe e transfemministe, intese come spazi di sperimentazione, auto-inchiesta, mutualismo e ridefinizione del welfare

# LIBERE DALLA VIOLENZA ECONOMICA, DALLO SFRUTTAMENTO E DALLA PRECARIETÀ. Strumenti economici per autodeterminarci.

  • Per superare la violenza di genere nella crisi vogliamo strumenti e misure in grado di garantire l’autodeterminazione e l’autonomia delle donne, antidoti alla violenza data da dipendenza economica, sfruttamento e precarietà;
  • Chiediamo salario minimo europeo e reddito di base incondizionato e universale come strumenti di liberazione dalla violenza, dalle molestie e dalla precarietà.
  • Vogliamo un welfare universale, garantito e accessibile, politiche a sostegno della maternità e della genitorialità condivisa;
  • Riaffermiamo l’importanza di costruire reti solidali e di mutuo soccorso contro l’individualismo e la solitudine
  • Nel dare nuovi significati alla pratica dello sciopero, oltre a quello sindacale, rilanciamo lo sciopero globale delle donne come sciopero dei e dai generi e dal lavoro produttivo e riproduttivo.

# LIBERE DI NARRARCI. Prevenire la violenza con una narrazione femminista e transfemminista.

I media svolgono un ruolo strategico nell’alimentare o contrastare la violenza maschile contro le donne, per questo vogliamo:

  • La produzione di linee guida per narrazioni non sessiste e, dove queste già esistono, sanzioni per chi trasgredisce
  • L’eliminazione di tutte le forme di lavoro sottopagato, sommerso e sfruttato delle lavoratrici e dei lavoratori della comunicazione: le narrazioni tossiche sono dovute infatti anche alla ricattabilità di chi lavora nel settore, oltre che alla mancanza di formazione.
  • Diffondere narrazioni non tossiche. La violenza è strutturale, nasce dalla disparità di potere, non è amore, è trasversale e avviene principalmente in famiglia e nelle relazioni di prossimità. La violenza avviene anche nella sfera pubblica, ma non deve diventare spettacolo. Le donne non sono vittime passive, predestinate, isolate, e chi subisce violenza di genere non ne è mai responsabile. La violenza non divide tra “donne per bene” e “donne per male”, e gli uomini che agiscono violenza non sono mostri, belve, pazzi, depressi. Questi ed altri principi confluiranno in una carta deontologica rivolta agli operatori ed operatrici del sistema informativo e mediatico.

# LIBERE DI MUOVERCI, LIBERE DI RESTARE. Contro il razzismo e la violenza istituzionali.

  • Pratichiamo un femminismo intersezionale che, pur riconoscendo le differenze che caratterizzano le condizioni di ogni persona, sceglie di lottare insieme contro la violenza del patriarcato, del razzismo, delle classi, dei confini
  • Contro il regime dei confini e il sistema istituzionale di accoglienza, rivendichiamo la libertà di movimento e il soggiorno incondizionato dentro e fuori l’Europa, svincolato dalla famiglia, dallo studio, dal lavoro e dal reddito. Vogliamo la cittadinanza per tutti e tutte, lo ius soli per le bambine e i bambini che nascono in Italia o che qui sono cresciute pur non essendovi nati. Critichiamo il sistema istituzionale dell’accoglienza e rifiutiamo la logica emergenziale applicata alle migrazioni
  • Siamo contro la strumentalizzazione della violenza di genere in chiave razzista, securitaria e nazionalista e vogliamo spazi politici condivisi e femministi

# LIBERE DALLA VIOLENZA AMBIENTALE. Le violenze sui territori colpiscono anche noi.

  • Ricerchiamo il benessere dei corpi e degli ecosistemi. Definiamo “violenza ambientale” quella che si attua contro il benessere dei nostri corpi e gli ecosistemi in cui viviamo, costantemente minacciati da pratiche di sfruttamento biocida
  • Vogliamo intraprendere un cammino comune a livello transnazionale nell’esercizio e nello scambio di pratiche transfemministe volte alla costruzione di politiche economiche decolonizzate e di pace, alternative a quelle biocide ed estrattiviste del capitalismo neoliberale
  • Affermiamo la necessità di superare il modello antropocentrico corrente: soggezione, sfruttamento della natura, degli esseri umani e delle altre specie e patriarcato si intrecciano infatti nella concezione delle relazioni come dominio e proprietà proprie di questo modello

# LIBERE DI COSTRUIRE SPAZI FEMMINISTI. Spazi di autonomia, spazi separati, spazi di liberazione

Per creare spazi e tempi di vita sani e sicuri è necessario recuperare quartieri abbandonati, aumentare i luoghi autonomi gestiti da donne, riprogettare e risignificare i territori urbani partendo dalle esigenze delle donne.

  • Riconosciamo e supportiamo la centralità dei Centri Antiviolenza (CAV) quali luoghi di elaborazione politica, autonomi, laici e femministi al cui interno operano esclusivamente donne e il cui obiettivo principale è attivare processi di trasformazione culturale e politica e intervenire sulle dinamiche strutturali da cui origina la violenza maschile e di genere sulle donne
  • L’operatrice di accoglienza/antiviolenza è cardinale nel lavoro dei Centri Antiviolenza, e la sua formazione deve essere acquisita esclusivamente all’interno dei Centri stessi. Il suo operato si fonda nella pratica femminista della relazione tra donne e nel contrasto agli stereotipi e alle discriminazioni di genere.
  • I Centri Antiviolenza garantiscono la riservatezza, la segretezza, l’anonimato e la gratuità. Nei CAV viene adottata una metodologia indirizzata all’autonomia e mai all’assistenza, basata sulla relazione tra donne e sulla lettura della violenza di genere come fenomeno politico e sociale, strutturale e non emergenziale
  • La pluralità di azioni necessarie per una concreta ed efficace lotta alla violenza maschile sulle donne richiede l’impegno di risorse e finanziamenti appropriati e finalizzati al vantaggio delle donne e alla valorizzazione e sostegno dei Centri Antiviolenza
  • Siamo contrarie all’istituzionalizzazione dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza e ai requisiti minimi così come recentemente in discussione nella Conferenza Stato-Regioni

# LIBERE DI AUTODETERMINARCI. Per concretizzare percorsi di autonomia e fuoriuscita dalla violenza è necessario:

  • Ridurre i tempi della giustizia, anche mediante la previsione di corsie preferenziali, ad oggi inesistenti per i procedimenti civili e scarsamente attuate per i procedimenti penali;
  • In sede penale va contrastata ogni forma di obbligatorietà della denuncia e procedibilità d’ufficio dei reati – che limiti il diritto di autodeterminazione delle donne – e l’estensione ai reati di genere di strumenti processuali che depotenziano i diritti della persona offesa (condotte riparatorie di cui all’art. 162 ter c.p. dove anziché essere imprescindibile, il consenso della persona offesa è irrilevante). Vanno fissati parametri equi, congrui ed uniformi per l’offerta reale del risarcimento del danno che non sviliscano la gravità del reato subito e restituiscano dignità e centralità alla donna;
  • Recepire la direttiva europea sul risarcimento del danno per le vittime di violenza, ponendo a carico dello Stato l’anticipazione di tutte le somme disposte dall’autorità giudiziaria in loro favore sia in sede civile che in sede penale, superando la burocratizzazione delle attuali procedure di accesso ai fondi già costituiti
  • Allargare la tutela del permesso di soggiorno per le donne che subiscono qualunque forma di violenza (art. 18 bis TUIMM), anche episodica e sul posto di lavoro, svincolandolo dal percorso giudiziario/penale, e garantendone l’accesso effettivo alle donne prive di documenti sul territorio.
  • Si chiede alla donna di essere una “brava madre” al di fuori della violenza e, di contro, si considera il padre adeguato anche se violento, in aperta violazione della Convenzione di Istanbul (Titolo V art. 31). Bisogna superare la cultura giuridica che riconduce la violenza maschile sulle donne alla “conflittualità” di coppia, disconoscendo il fenomeno stesso della violenza e sminuendo la credibilità delle donne che la subiscono.
  • Introdurre modifiche legislative in materia di affidamento condiviso (artt. 337 quater c.c. e ss.), escludendo la sua applicazione in tutti i casi di violenza intrafamiliare e opponendosi ad altre forme di affidamento, come quello alternato, che causano pregiudizio e svuotamento dei diritti economici delle donne (la perdita del diritto all’assegnazione della casa familiare e del mantenimento), generando una condizione di dipendenza e subordinazione economica nei confronti degli ex partner come un ennesimo strumento di ricatto;
  • Assicurare l’applicazione dei provvedimenti ablativi e/o limitativi della responsabilità genitoriale paterna;
  • Rispettare nei casi di violenza il divieto di mediazione familiare e di soluzioni alternative nelle controversie giudiziarie;
  • Contrastare l’abdicazione da parte delle e dei giudici minorili e civili alla propria funzione di valutazione e decisione, praticata attraverso la delega di fatto alle e ai Consulenti tecnici d’Ufficio e al personale dei servizi sociali, e quindi vietare di procedere a valutazione psicologica e psicodiagnostica sulle donne vittime di violenza e sulla loro capacità genitoriale, valutazione che dovrebbe essere centrata sulla sola figura paterna evitando l’equiparazione dell’uomo maltrattante alla donna maltrattata;
  • Garantire alle ed ai minori una tutela integrata effettiva con la semplificazione del rilascio/rinnovo dei documenti, nulla osta scolastici, accesso ai servizi di sostegno psicologico e cure sanitarie.

L’orientamento e l’inserimento lavorativo sono fondamentali per i percorsi di liberazione e autonomia delle donne che fuoriescono dalla violenza, in quanto consentono la rottura dell’isolamento, la riacquisizione di autostima, la capacità di riconoscere le proprie competenze, abilità e limiti per assicurarsi una reale indipendenza, soprattutto dal punto di vista economico. Per garantire efficaci percorsi di autonomia lavorativa è necessario:

  • Reddito di autodeterminazione per garantire un aiuto concreto che permetta una più veloce fuoriuscita dalla violenza e/o un’efficace prevenzione del rischio di recidiva di maltrattamenti;
  • Vietare il licenziamento e prevedere il trasferimento dai luoghi di lavoro con assicurazione di ricollocazione, il diritto alla flessibilità di orario, l’aspettativa retribuita e la sospensione della tassazione per le lavoratrici autonome;
  • Modificare il congedo lavorativo per violenza (articolo 24 del D.lgs. n. 80/2015) che esclude le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari e non garantisce l’anonimato. È inoltre necessario diffondere maggiormente l’esistenza di questo strumento presso i datori di lavoro e le sedi territoriali INPS;
  • Mettere a disposizione per attività di imprenditoria femminile una percentuale dei beni commerciali confiscati.

Nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza il “problema della casa” assume un valore primario, cui bisogna dare risposte adeguate, non episodiche e/o emergenziali

  • Prolungare l’ospitalità dagli attuali 3-6 mesi a 12 mesi e conferire al tempo di permanenza una natura più flessibile, in grado di tener conto delle specificità di ogni donna e del suo percorso;
  • Slegare l’ospitalità, l’accoglienza o il trasferimento in altra località dal sistema delle rette dei Servizi Sociali che non devono sostituirsi alle donne determinando i loro percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
  • Ampliare, modificare e applicare su tutto il territorio nazionale l’esperienza della Delibera 163 del Comune di Roma prevedendo che il contributo quadriennale per l’affitto sia destinato anche alle donne uscite da situazioni di violenza; a tal fine è necessario che sia equiparata, per gravità e urgenza, la necessità di fuga dalla casa familiare per sottrarsi a una situazione di violenza all’essere colpite da una ingiunzione di sfratto, esperimento già utilizzato con successo in alcuni municipi di Roma Capitale;
  • Prevedere l’istituzione di un fondo di garanzia che permetta una stipula del contratto facilitato per le donne, che potrebbero così avvalersi dei Centri Antiviolenza e delle Associazioni che li gestiscono come garanti;
  • Assegnare nelle graduatorie per le case popolari massimi punteggi per le donne che hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza presso i CAV;
  • Mettere a disposizione il 10% del patrimonio pubblico per l’implementazione di case di Semiautonomia gestite da Centri Antiviolenza, e di case con affitti calmierati per donne che escono da situazioni di violenza, da sole o in co-housing, per una durata di 4 anni.

# LIBERE DI DARE I NUMERI

Intendiamo creare mappature, osservatori, banche dati e strumenti di analisi autonomi, per garantire la diffusione di una consapevolezza del fenomeno della violenza maschile contro le donne come fenomeno strutturale e non emergenziale. Da parte degli enti pubblici e privati è necessario organizzare – a tutti i livelli – banche dati che garantiscano la conoscenza qualitativa e quantitativa di tutte le forme della violenza di genere.

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