Il monologo di Sophia Fucci sulla solitudine delle persone trans – Presentazione di “Amare una sirena” del 28 giugno 2024

In occasione della presentazione del suo libro "Amare una sirena" (2024, Prospero Editore), tenutasi lo scorso venerdì 28 giugno nel giardino della Casa, Sophia Fucci ci ha omaggiate di un bellissimo e doloroso monologo sulla solitudine delle donne trans, letto al termine del ricco scambio con il gruppo L'antro di Circe.

In accordo con l'autrice, lo riportiamo qui integralmente, perché pensiamo che queste parole meritino di essere lette e di rimanere disponibili a lungo.

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Avrei tanto da dire sul sentimento di solitudine che attanaglia oltremodo le persone della comunità trans, e non so se con il mio romanzo io sia riuscita a spiegarlo pienamente. È una solitudine così estenuante e in continua evoluzione che è difficile anche per me comprenderla del tutto. Tuttavia, posso dirvi che percepisco abbastanza il senso di comunità e vicinanza che c’è sempre attorno a me, come oggi.

Il sentirsi "sola" di ogni persona trans va oltre ogni sentimento di comunità che si possa ricevere o percepire, perché questa condizione di solitudine nasce dal fatto che spesso la maggioranza della società sceglie per noi, in quanto transessuali senza diritti. Alcune delle conseguenze di questa condizione, soprattutto in ambito sentimentale, che è il tema del mio romanzo, “Amare”, quindi, una creatura mitologica a metà tra due mondi, un essere fuori dal comune come me e come tante altre nella mia stessa situazione, possono essere comprese appieno solo da chi vive questo percorso sulla propria pelle.

L'impossibilità di amare e di essere amate, per esempio, o l'impossibilità di godere della propria giovinezza e bellezza del corpo e anche del corpo di chi ci piace per via dei nostri natali, o di scoprire i piaceri del sesso, l'impossibilità di avere una relazione amorosa, di ricevere una carezza, dell'affetto, o il semplice stare sdraiate sull’erba delle Piagge, per esempio, con qualcuno alla luce del sole che non si vergogni del nostro passato (che riguarda solo noi) o con cui organizzare una vacanza o mettere su famiglia, il vivere come eterne bambine nel corpo di donne mature che non conoscono nemmeno il loro nuovo organo sessuale e a cui non è permesso godere di niente, a meno che non acconsentiamo a diventare una fantasia per qualche notte, fa di me e di noi transessuali tutte, donne spesso concentrate sul lavoro o sulla "carriera", e che, accantonati questi due elementi, o messe da parte le cose che possiamo raggiungere da sole, per il resto possiamo fare o avere ben poco altro.

E benché spesso si tenda a banalizzare e ci venga detto che sia colpa nostra, perché "alziamo troppo l'asticella" e che dovremmo abbassarla, o perché non siamo in grado di accontentarci, o perché in fondo siamo noi a non essere disposte ad avere qualcuno accanto, che non vogliamo essere amate e che vogliamo stare sole, o che in fondo non siamo le uniche perché anche tante altre donne cisgender vivono questa condizione… nel nostro caso è la società che ha scelto il posto dove dobbiamo stare, ovvero ai margini. A me non mancherebbe nulla per essere una donna appagata e felice, ma sono gli altri a continuare a scegliere per me. Questo mi provoca frustrazione e dolore, perché non mi viene data alcuna possibilità di riscatto.

Non sono sempre libera di poter scegliere. L'impossibilità di potermi esprimere col mio corpo e il mio organo di donna, di amare qualcuno, o di essere amata, di fare sesso con questo corpo nuovo senza che venga disprezzato non appena si venga a conoscenza del mio passato, mi deprime e genera in me il senso di solitudine di cui racconto. Cose verso cui posso fare ben poco. E ritrovarmi a 34 anni con un bel corpo e non poterne usufruire fino in fondo, non aver mai avuto una storia d’amore, l'essere stata solo molestata e abusata, ritrovarsi dopo l'Università a scegliere la via precaria della scuola tanto per tenermi occupata, guadagnare qualcosa, e cercare di non pensare a certi drammi, quando in realtà avevo altri sogni per me, fa per un momento dimenticare questo senso di vicinanza e di sostegno che avverto attorno e di cui vi sono grata.

Dimenticarlo non è ingratitudine, è che non mi basta. Non ci basta. Qui non c'entra soltanto il non aver trovato una persona giusta che arriverà quando meno te lo aspetti. Quando smetti di cercare. Basta con questa retorica che può valere per molte donne cisgender, che, nel momento in cui si trovano davanti la persona giusta, dopo essere incappate in tante sbagliate, non hanno più nulla da dover giustificare, nessun passato che possa mettere in discussione una condizione che non hanno scelto. Ecco, a noi questo non è consentito perché ogni volta siamo in attesa di un verdetto che cade su molte delle nostre teste come una scure.

Le rinunce a cui dobbiamo sottostare sono troppe. Sono amare, nel senso del sapore. Il resto della vita diviene più pesante per noi tutte da affrontare. Diventa faticoso o impossibile anche fare la spesa, riordinare casa, uscire, cucinare qualcosa, e quando tutto ciò accade, non vi so spiegare a parole il vuoto che sentiamo dentro. E i soldi poi, che mancano sempre e che ti illudono di appagarti di ogni carezza mai ricevuta. Mi viene detto: "Potresti partire da sola per una vacanza, non hai bisogno di un uomo, e questo è vero, se solo tu comprassi meno gonne, meno rossetti, e fossi più brava e oculata col denaro, se tu sapessi risparmiare, se tu sapessi rinunciare". Hanno sempre tutti la risposta giusta. Io? Rinunciare? È la cosa che mi riesce meglio. E spesso quelle che te lo dicono sono amiche a cui ti confidi che hanno lavori saltuari e che vanno in vacanza non perché siano oculate col denaro, ma perché non sono abbastanza consce del privilegio di cui godono, non sono consapevoli che se si possono permettere certi lussi è perché hanno la possibilità di una vita a due, dove lui ha sempre il lavoro a tempo indeterminato.

Io, invece, se non comprassi quei rossetti o quelle gonne, sarei una donna frustrata e sola chiusa in casa senza quei rossetti e quelle gonne, che non potrebbe comunque permettersi una vacanza a due. Non invidio queste donne, sia chiaro, e non voglio giudicare le loro scelte se non nella misura in cui vengo giudicata per il mio presunto mancato senso di sacrificio.

Amo così tanto la mia precarietà lavorativa e la mia indipendenza che preferisco rinunciare a una luna di miele nei mesi estivi piuttosto che farmela pagare dal mio compagno, anche perché non ho un compagno. Devo sempre ricoprire sia il ruolo dell'uomo che della donna. Prima di organizzare una vacanza o pensare di andare a vivere insieme dopo qualche mese di frequentazione, devo confessare di essere stata una transessuale, o di esserlo ancora, e nella stragrande maggioranza dei casi quella è l'ultima volta che lo vedrò.

"Dovevi dirglielo subito". Certo, avete sempre ragione voi. Dovremmo dirlo subito, anzi, potremmo affiggere un cartello sulla fronte, così da non avere mai più un'opportunità.

Comprare oggetti, trucchi o qualunque cosa possa farmi sentire più bella e serena mi dà un sollievo temporaneo dal profondo senso di solitudine e abbandono che la società mi impone. Allevia quella disforia che mi fa alternare tra giorni in cui mi vedo splendida e giorni in cui vorrei coprire gli specchi perché vedo solo un uomo truccato.

E non so chi mi dia la forza di continuare a credere che tutto potrà cambiare, in uno scenario politico in pieno stile anni '20 e con la guerra alle porte. Non voglio tediarvi ulteriormente, né fare la vittima o la "drama queen" che spesso sono solita fare in segno di difesa. Imparate a riconoscere il privilegio di poter scegliere, che a noi manca, e riconoscete che esiste ancora una piramide sociale in cui le transessuali occupano l’ultimo posto. Questa è la pura realtà. Quello che mi raccontano le altre ragazze trans è assai simile, e io non posso fare altro che raccontare. Scrivere.

                                                                                                 Sophia Fucci

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