“La guerra è come un treno, quando parte non riesci a fermarlo e non riesci a scendere”
#Stopthewarnow: riflessioni di una giovane volontaria della Casa al ritorno dall’Ucraina
10 ottobre 2022
Non so bene che cosa dire. La Carovana è rientrata in Italia da poco più che una settimana e dopo giorni di “quiete” oggi ecco la notizia di un bombardamento sulla capitale (la quale non veniva attaccata da giugno, dicono). Io sul ponte di vetro, affacciato sul fiume Dnipro con una vista aperta sulla città, ho passato le mie ultime ore a Kiev, prima di prendere nuovamente il treno-notte verso Chernivtsi. Guardo le immagini alla Bbc e non so bene che cosa dire.
Mentre passeggiavo lungo il ponte sopraelevato, che collega le due estremità del parco, insieme alle compagne e ai compagni della Carovana della Pace, guardando bene dove mettere i piedi poiché gremito di persone e ascoltando il traffico cittadino, non pensavo affatto di essere in un paese in guerra. Certo non ho mai pensato di essere in vacanza (pensiero alimentato anche dalla passeggiata accompagnata da un ragazzo ucraino che suona Hallelujah con il violino), ma non ho percepito la paura né sono caduta in uno stato di allerta, in nessun momento di questo viaggio. Forse per il fatto che la città fosse intatta o per le macchine e i taxi in movimento, per coloro che facevano jogging o per le commesse che sistemavano le vetrine, a Kiev niente mi è apparso come nelle televisioni da noi in Italia. Tutto era perfettamente funzionante e in meno di 48h le sirene sono suonate una sola volta.
Sì, perché a Kiev adesso non si scarica l’audio guida del museo o la piantina della città, si scarica l’app Tpᴎbora! che ti avverte quando sulla città ci sono presunti bombardamenti e ti consiglia di recarti nei rifugi entro i dieci minuti dall’allarme. Il messaggio si espande da cellulare a cellulare, alzandosi di volume quando le sirene delle città lo accompagnano. Assurdo è il fatto che le persone non ci fanno troppo caso. “Accade troppo spesso” è la risposta che ci danno alcuni degli ucraini che incontriamo in questo viaggio. Oggi, 10 ottobre, mi viene naturale chiedermi: quanti hanno seguito l’avvertimento lasciando in fretta e furia tutto quello che stavano facendo per raggiungere i bunkers? Quanti invece non se ne sono curati? Ma soprattutto, come ci si sente quando l’esplosione arriva per davvero?
Le notizie dicono che sono morte parecchie persone. Erano sole? Hanno sentito le sirene? Che cosa succede nella testa di una persona che sente un avvertimento ma sceglie di ignorarlo? Che cosa succede nella testa di una persona che sente un avvertimento ma non fa in tempo a ripararsi?
L’unica volta in cui è suonata la sirena sul mio cellulare, mentre eravamo a Kiev, io e altri tre compagni stavamo in un taxi diretto verso la stazione del treno. Gremita, affollata di gente. Controlli dei biglietti, controlli dei passaporti, controlli della sicurezza. Io ed Elena ci risparmiamo il metal detector, Francesco e Antonio no. Ma poi, che differenza c’è?... La stazione è piena, appunto, la confusione è parecchia ma forse niente di troppo diverso da una stazione di Milano Centrale o di Roma Termini alle 9 di sera. “La stazione del treno è il bersaglio perfetto per un'esplosione, è un po’ come attaccare il cuore della città”. Oggi allora mi chiedo come sarebbe andata se il 10 ottobre fosse stato sabato 1 ottobre, se l’esplosione fosse avvenuta non sul ponte di vetro ma sulla stazione centrale.
Ci provo, ma comunque non so bene che cosa dire.
26 settembre 2022
Dal 24 febbraio 2022 esistono quattro Ucraine: la prima è l’Ucraina colpita dalla guerra, disgregata in ulteriori piccoli pezzi; la seconda è l’Ucraina di massa, composta dalle migliaia di persone in fuga verso l’Europa; poi c’è l’Ucraina dentro l’Ucraina, rappresentata da tutti coloro che si sono rifugiati dentro i confini nazionali ma comunque lontani dalle proprie case, separati dalle proprie famiglie; infine c’è l’Ucraina di Chernivtsi e di tutte quelle regioni verso Occidente, mai colpite dalla guerra ma ugualmente segnate per le generazioni future. Il mio viaggio dentro l’Ucraina, quella verso Occidente, inizia il 26 settembre 2022, insieme alle ventidue persone che si sono unite alla Carovana della Pace organizzata da Un Ponte Per e da Movimento Nonviolento.
Le persone che viaggiano insieme a me sono pezzi da novanta. Ci sono Elena, dolce e preparata, Don Renato, saggio e autoironico, Francesco, il professore attento e spiritoso… sono tutte persone ordinarie ma che fanno della loro vita qualcosa di straordinario. Credono nella pace intima, chiesta senza troppo rumore ma comunque professata con animo sincero. Guardano non a quello che sono, o a quello che sono stati, ma nella direzione in cui vogliono andare. Infine, credono che la rivoluzione più grande parta da loro stessi e non perché imposta. Queste sono le personalità che arricchiscono la Carovana, le quali cariche di tutte queste certezze hanno affrontato più di 3.000 chilometri andata e ritorno da Gorizia con destinazione Kiev. Io ho iniziato il mio viaggio da Cluj-Napoca, in Romania, con uno zainetto pieno di altrettante certezze e motivazione. Che cosa mi ha spinto ad unirmi al gruppo? forse un pizzico di follia, certamente la voglia di mettersi alla prova con qualcosa di gran lunga diverso dai soliti viaggi intrapresi fino ad ora. Si, ma perché proprio un paese in guerra? Non lo so. È più una vocazione che un’intenzione.
27 settembre 2022
Chernivtsi dista circa 43 chilometri dalla frontiera con la Romania. Dal finestrino dell’auto cerco un dettaglio, un particolare, un avvertimento, qualcosa che mi dica: “eccola, la guerra!”. Davanti a noi c’è solo però una fila infinita di camion. Il Tempo di attesa per superare i controlli di frontiera varia da ore a giorni, addirittura a settimane. Gli autisti aspettano il loro turno per entrare o uscire dal paese, trasportano un po’ di tutto oppure sono vuoti. Non riesco a immaginare come possano passare le ore quando si è seduti al volante di un automezzo che pesa tonnellate, che emana cattivi odori, il più delle volte lontano dai servizi. Comunque loro aspettano, incanalati uno dietro l’altro, volto di quella guerra che non si combatte sul fronte ma dentro casa. Chissà chi maledicono ogni volta che imprecano perché l’ora passa e ancora chilometri li separano dalla loro vita. Chissà che direbbe una donna alla guida, riesco solo a pensare a tutte le volte che dovrei fare pipì… non oso soffermarmi su tutti i disagi che giornalmente subiscono queste persone.
Arriviamo in città, l’impatto di quello che vedo mi lascia stupefatta. Le persone camminano per strada veloci, i semafori cambiano meccanicamente colore: rosso, arancione, verde, arancione, rosso. Le mamme spingono i passeggini, tutti che entrano ed escono dagli edifici… mi guardo intorno e vedo solo cose normali, tipiche di una città normale, durante un giorno normale. Eppure, in Ucraina la guerra c’è. Le persone scappano, si rifugiano, combattono, muoiono. Mi torna alla mente una notizia che diceva che nei primi quaranta giorni dall’inizio della guerra sono state più di 4 milioni di persone fuggite dal paese. Quindi la guerra c’è, altrimenti perché si fugge? Perché si scappa dalle proprie case? Insomma, non c’è niente di più sicuro e accogliente della propria casa, dell’affetto della famiglia, del tempo speso con gli amici, della sicurezza della routine quotidiana: la scuola, lo sport, il lavoro, la palestra, il corso di cucina… Puoi trasferiti per un po’ di tempo, viaggiare senza scadenze, persino cambiare vita tentando la sorte dall’altra parte del mondo, ma non fuggi. Non scappi. Quindi se arrivi a farlo significa che il posto dove abiti, il tuo posto nel mondo, non è più sicuro.
Catastrofi, alluvioni, terremoti, siccità, malattie, guerra. In Ucraina la guerra c’è, anche se mentre noi ci siamo nel mezzo non la si vede. A Chernivtsi non incrociamo militari schierati, edifici crollati, corpi a terra, perché è così che mi immagino la guerra, voi no? Però esiste, si manifesta sui volti delle persone, sui muri con appese le foto di ragazzi che non ci sono più, sulle bandiere ucraine che sventolano sui tetti, sui sacchi di sabbia adagiati per coprire i vetri del sottoscala (aka bunker), sui ristoranti che chiudono alle 22 per permettere a tutti di rientrare in casa in tempo per il coprifuoco che vige in tutta l’Ucraina (diverso in ogni città)... Me lo ricordo il nostro coprifuoco, i famosi cori dai balconi per sentirsi vicini, l’obbligo di restare a casa. Comunque, niente di insuperabile. Comunque sereno e familiare, almeno il mio. Provo ad immaginare la sensazione di avvertire il mondo intorno che sta crollando, forse sopra le proprie teste da un momento all’altro, forse poco più in là. Che strana forma di segregazione il coprifuoco.
17 ottobre 2022
Secondo attacco diretto su Kiev. Il messaggio su Twitter del Ministro della Difesa di Kiev: “Grati all’Italia per il supporto di nuove forniture militaristiche”. Che brutta abitudine sono le armi, vero? Ho i brividi a pensare che da un attacco militare e quindi da vittime investite in pieno, il pensiero che va per la maggiore è: necessitiamo di ulteriori armi. Di un arsenale bellico bello grosso, all’avanguardia e possibilmente con accesso continuato. Penso ai due giorni trascorsi a Kiev, tra persone comuni come noi, persone semplici che conducono una vita apparentemente semplice (che poi semplice non è sinonimo di facile!), penso ai ragazzini alle fermate degli autobus, alle signore che trascinano le buste della spesa, ai drivers che pedalano veloci verso la loro consegna… penso a quanto sia dannatamente piacevole l’ordinarietà della vita e dico: “non è con la vittoria di una guerra che si raggiunge la pace”. Possibile che non entra nella testa di coloro che stanno al comando?! Che poi vai a vedere che bella scommessa... essere al comando di una guerra.
Poi penso a coloro che le armi ce l’hanno in mano. Non può essere che siano tutti pazzi, no. Penso allora proprio a coloro che quando hanno preso un’arma in mano si sono chiesti “e ora che cosa ci faccio?”, perché non te lo dicono “guarda che adesso vai ad ammazzare qualcuno”. Vieni sbattuto in mezzo ad un battaglione, chiudi gli occhi, trattieni il fiato per un secondo e poi via, entri in scena. Questo accade da entrambe le parti, perché in una guerra non ci sono vincitori o vinti… tutti ne usciamo sconfitti. Ho letto negli occhi dei due resistenti non violenti delle zone occupate la stanchezza, la paura e la delusione, quel pomeriggio del 30 settembre durante una chiacchierata informale tra noi volontari e loro. La guerra ti mangia dentro, ti svuota, non ti lascia niente. Chissà a cosa pensi o a chi pensi prima di sparare. Chissà quanto deve pesare un’arma, quanto deve pizzicare contro la pelle una divisa militare, chissà quanto devono lacrimare gli occhi per il fumo… si, per il fumo.
1 ottobre 2022
A Kiev resto una sola notte, due giorni, mentre alcuni di noi si trattengono fino alla domenica. Sono nel gruppo che rientra in Italia un giorno prima per impegni lavorativi, non per un qualsiasi altro motivo. Mi è risultato difficile avere paura durante questa settimana in Ucraina, ho pensato molto di più a quanto assurda fosse la nostra realtà rispetto a quello a cui i telegiornali mi avevano “preparato”. Mi è risultato difficile pensare a cosa significa vivere in un paese in guerra, sebbene la guerra fosse a poche ore di distanza da noi. Mi è risultato difficile comprendere come si faccia a sacrificare un paese intero per interessi personali o per interessi talmente contorti che poi alla fine neanche sono chiari a chi la guerra l’ha iniziata. È stato facile però capire quanto l’istinto umano della sopravvivenza prevalga su tutto il resto, nonostante tutto il resto. Sapere di dover vivere la propria vita un giorno alla volta, con l’unica certezza di ciò che si ha davanti il secondo successivo. Captare la notizia di un nuovo colpo, di un nuovo missile, magari sulla casa di un amico o di un familiare. Metabolizzare la morte di un amico o di un familiare.
Quello che mi è risultato ben chiaro comunque è la poca accortezza che hanno quelle persone che parlano senza sapere, giudicano senza vedere, danno sentenze senza pensare. Rientro in Italia facendo il viaggio al contrario: treno notte fino a Chernivtsi, auto fino a Cluj-Napoca, aereo fino a Bologna, Flixbus fino a casa. Mi chiedono come sia andata questa esperienza, quanto sia stato difficile… l’unica certezza che ho come risposta è: se dovessi partire domani, lo rifarei. Si perché sono partita pensando di dare agli altri e sono rientrata che, in pratica, ho tutto ricevuto. Ho avuto il piacere di conoscere persone meravigliose che hanno condiviso con me parte del loro sapere, che mi hanno ispirata, guidata. Ho avuto il privilegio di guardare nella vita di quelle persone che combattono ogni giorno con demoni terrificanti, di cercare nel loro intimo quale fosse il punto di forza… a che cosa ti aggrappi quando stai per cadere?
In particolare, Radu, il nostro autista fino a Chernivtsi, è stato di gran lunga la persona giusta, al momento giusto, nel luogo giusto e io ho avuto l’onore di ascoltare la sua storia. Fin dall’inizio della guerra, Radu si è recato al confine (da Cluj, dove abita con la moglie e i suoceri) e ha messo tutto sé stesso a disposizione degli altri, portando aiuti in Ucraina e, molto spesso, persone in Romania. Lo fa con il suo coraggio e il suo grande animo, non per soldi. Dice di aver messo su un gruppetto di amici, con le auto, che nei primi giorni della guerra hanno percorso le ore che dividono la frontiera dalla città di Cluj (circa 4h) anche due volte al giorno ogni volta che fosse loro possibile staccarsi dal proprio lavoro. Quando chiediamo a Radu perché lo fa, lui mi risponde nel modo in cui io mi sento di rispondere a tutti coloro che mi chiedono, “perché lo fai?”: “Tutti abbiamo una croce, la mia è quella di aiutare”. E questa risposta mi basta. Mi basta per capire che la soluzione più semplice, a volte, è proprio quella di agire. Che se lasciamo spazio alla paura, all’odio, alla cattiveria non ci rimarrà che l’ombra di noi stessi.
Mi diverto, accanto a Radu e insieme ai miei compagni le ore di macchina passano veloci. Mi innamoro, di fronte al paesaggio della Transilvania… questo Est europeo che troppo spesso viene lasciato in secondo piano. Mi convinco sempre di più che esiste la parte bella di ogni luogo, la parte genuina, la parte della gente. Mi immergo nel sentimento di fiducia verso il genere umano, mi lascio convincere che non esiste una parte giusta o una parte sbagliata in questo mondo. E penso che vorrei essere in tutti i luoghi contemporaneamente, vedere gli aspetti più violenti delle azioni umani (penso alla Siria, allo Yemen, ai paesi africani, alla frontiera del Messico, all’India e alle dittature in questa terra) per poi lasciami stupire dalla resilienza delle popolazioni, dalla bontà, da quel carattere buono che non si lascia scalfire. Provo a pensare a come sarebbe un mondo senza guerre, forse un mondo inesistente. Poi penso che sto pensando troppo in grande e quindi penso nel mio piccolo, penso a che cosa posso fare per far sì che anche la mia vita ordinaria diventi straordinaria... ma non voglio farlo per me, voglio farlo per gli altri! Che poi com’è quella frase di Vasco Rossi che mia sorella ha scritto in camera?!... “Ciò che dai agli altri, resta tuo per sempre”.
Serena Orselli
La Carovana della Pace si è svolta in Ucraina dal 26 settembre al 3 ottobre 2022. Le personali riflessioni qui riportate sono frutto di un’elaborazione successiva dei fatti accaduti.